Accordo più vicino per Stellantis. Svolta con il governo, ecco cosa cambia per il futuro.
Ha tenuto banco per diversi giorni sui giornali e i telegiornali italiani la crisi del Gruppo Stellantis culminata con le dimissioni dell’amministratore delegato Carlos Tavares per incompatibilità di vedute con i massimi vertici, e il presidente John Elkann apparso davanti ai dipendenti della FIAT per annunciare momenti difficili da superare in sinergia. Adesso però il peggio sembra essere passato.
Non perché il Governo italiano abbia accettato di concedere ulteriori soldi al costruttore torinese, ma per l’avvio di un tavolo che potrebbe portare ad una soluzione condivisa per il futuro. Ricordiamo che uno dei punti più critici di tutta la vicenda riguarda la delocalizzazione e la chiusura delle fabbriche nostrane per aprire in zone del mondo dove il costo del lavoro è meno costoso.
Il primo passo verso un avvicinamento tra l’Esecutivo e Stellantis si è verificato all’indomani del chiacchierato addio del manager portoghese con una telefonata tra la premier Giorgia Meloni e appunto l’erede Agnelli che ha in mano le redini della compagnia italiana oltre che della holding. Una mossa positiva per entrambi le parti e in parte arrivata a sorpresa visto che non vi era mai stato un contatto in precedenza.
Stando a quanto si apprende il 48enne si sarebbe dichiarato pronto a fornire garanzie sugli investimenti, ciò significa che, a differenza del passato quando aveva insistito per avere più fondi a disposizione per garantire la cassa integrazione ai lavoratori ed evitare la partenza dal Bel Paese con annessi licenziamenti di migliaia di persone, in questa occasione Elkann avrebbe aperto ad una mediazione.
Ciò significa nessun allontanamento obbligato, ma un sistema soft per agevolare le uscite volontarie. A questo va aggiunto la modifica del piano di lavoro, meno orientata alla classe media e più all’alta gamma in modo da valorizzare le eccellenze dello Stivale. Un contentino di scarso valore? Abbastanza, dato che la componente premium è minoritaria e non va oltre i 500mila pezzi all’anno.
Alla luce di ciò il tentativo potrebbe non essere sufficiente per salvare la FIAT dal taglio dei contratti, mentre dal canto suo il Governo si sarebbe mostrato disponibile ad abbassare il costo dell’energia.