Uno scossone dell’automotive mondiale, con ripercussioni tutte da decifrare per il futuro dell’industria italiana. Esaminiamole.
Il mondo dell’auto sta vivendo giorni di profondo cambiamento. Le dimissioni di Carlos Tavares dalla guida di Stellantis hanno scatenato un vero terremoto, lasciando John Elkann a fronteggiare una delle sfide più complesse della sua carriera. Non è solo questione di poltrone e management. C’è in ballo il futuro di migliaia di lavoratori, di stabilimenti storici, di un’intera filiera produttiva che guarda con apprensione ai prossimi mesi.
Mirafiori racconta meglio di ogni altro stabilimento questo momento di incertezza. Le linee sono ferme, resteranno silenziose fino all’Epifania. La 500 elettrica non decolla come sperato, gli ordini languono. E quella ibrida, tanto attesa, non vedrà la luce prima del 2025. Un quadro che fa riflettere, soprattutto ripensando ai roboanti annunci del piano Dare Forward: cento milioni per rinnovare la 500e, altri sessanta per l’ibrida, un ambizioso progetto di trasformazione chiamato Mirafiori Automotive Park 2030.
Le carte si rimescolano
Il futuro ora si tinge di sfumature contrastanti. Lo scenario più fosco vede un congelamento degli investimenti previsti, con un 2025 segnato da cassa integrazione e stop produttivi. Ma non tutto potrebbe essere perduto. Il flop dell’elettrico sta spingendo verso un ripensamento delle strategie. Si parla con insistenza di un possibile ritorno ai motori tradizionali, magari alimentati con quei biocombustibili che Stellantis ha già sperimentato con successo. Mirafiori, con le sue linee versatili, potrebbe trovare proprio qui una nuova ragion d’essere.
La partita però si gioca anche su altri tavoli. L’ago della bilancia del potere sembra pendere sempre più verso Parigi. La famiglia Peugeot difficilmente prenderà decisioni che possano danneggiare gli stabilimenti francesi. E poi c’è il nodo della successione. Mentre Elkann valuta soluzioni interne, i corridoi dell’industria automobilistica sussurrano con sempre maggior insistenza il nome di Luca De Meo. L’attuale numero uno di Renault, cresciuto alla scuola di Marchionne, potrebbe tornare in quella che fu la sua casa. Ma attenzione: il suo arrivo potrebbe nascondere sorprese ancora più grandi, come quella fusione con Renault che ciclicamente torna a far parlare di sé.
Nel frattempo, la politica non sta a guardare. Carlo Calenda tuona e chiede che Elkann riferisca in Parlamento. I sindacati pretendono chiarezza sul futuro piano industriale. Non bastano più le telefonate di cortesia o le rassicurazioni di facciata. Serve una visione chiara per il futuro dell’automotive italiano. Perché questa partita non riguarda solo stabilimenti e numeri di produzione. È in gioco il destino di un pezzo importante della nostra industria, di competenze accumulate in decenni di storia, di famiglie che dall’auto hanno tratto sostentamento per generazioni.