Sappiamo molto bene quanto possano inquinare le automobili, ma i dati emersi di recente le mettono comunque in secondo piano.
Il mondo sta cambiando. Ci riferiamo al nostro punto di vista in quanto esseri umani, ma vale lo stesso per animali, piante, ecosistemi e quant’altro. Uno dei maggiori indiziati in senso negativo è certamente l’automobile. O, comunque, ogni veicolo a motore si sta rivelando essere decisamente grande protagonista dell’inquinamento.
Una situazione, quella in cui stiamo vivendo, che porta molti attivisti e anche tantissime aziende ad accelerare un processo rivoluzionario necessario al miglioramento della vita sul Pianeta Terra di tutti.
Ecco perché gli esperti stanno cercando di comprendere a fondo cosa stia mettendo davvero in difficoltà il luogo in cui viviamo tutti. Fra questi fattori, incredibile ma vero, non sono le vetture ad essere le più dannose, ma le flatulenze delle mucche. Sembra uno scherzo ma è davvero così; e quel che è peggio, è che i dati sono semplicemente impressionanti.
Inquinamento: cos’è davvero
L’inquinamento è un’alterazione dell’ambiente, naturale o dovuta ad antropizzazione – trasformazione e alterazione compiuta dall’uomo – da parte di elementi inquinanti. Può produrre problemi e/o disagi temporanei, ma anche danni permanenti per la vita in una determinata area. Questa alterazione può essere di origini diverse, tanto chimica quanto fisica. In poche parole, è inquinamento tutto ciò che è nocivo per la vita o altera in maniera effettivamente significativa le caratteristiche fisico-chimiche dell’acqua, del suolo o dell’aria. Un cambiamento che può incidere sulla salute, sulla struttura e sull’abbondanza degli esseri viventi e dei flussi di energia, specialmente se il tutto non viene compensato da una reazione naturale o antropica adeguata, in grado di annullare gli effetti negativi totali dell’inquinamento.
E’, per meglio dire, una forma di contaminazione dell’aria, delle acque e del suolo, che prevede sostanze e materiali dannosi per l’ambiente e per la salute degli esseri umani, capaci perfettamente di interferire con i naturali meccanismi di funzionamento degli ecosistemi o di compromettere la qualità della vita. Ma cosa può essere effettivamente inquinante? Tutto. dipende molto dalle dosi e dal contesto, ma in linea teorica ogni attività ed ambiente costruito dall’uomo può rivelarsi inquinante e danneggiare l’ambiente naturale. Questo perché, interagendo con quest’ultimo, può mutare la sua conformazione originaria.
In alcuni casi le parti possono coesistere alla perfezione, chiariamoci. Non tutto è nero e negativo. Per farlo non deve però alterare gli equilibri preesistenti dell’ambiente naturale; anzi, in alcuni casi può pure contribuire a preservarli. Anche sostanze apparentemente innocue possono compromettere gravemente un ecosistema, come latte o sale. C’è da dire che ciò che è velenoso per una specie può essere vitale per un’altra. Basti pensare che le prime forme di vita immisero nell’atmosfera enormi quantità di ossigeno per dare il via ad un prodotto metabolico e velenoso per tutte le specie allora predominanti. Questo significa che ogni situazione va contestualizzata, per non danneggiare niente e nessuno: soprattutto per quanto riguarda il delicato tema dell’inquinamento.
Inquinamento atmosferico: le conseguenze
Ma quali sono le conseguenze effettive dell’inquinamento atmosferico? Purtroppo sono tante e pure di drammatica entità. Si ripercuote negativamente sull’uomo, sugli ecosistemi, sugli edifici, sui materiali e sul clima. Può danneggiare le vie respiratorie e l’apparato cardiocircolatorio. Causa ben 2300 decessi prematuri all’anno e provoca un’acidificazione e una concimazione eccessiva degli ecosistemi sensibili. In Svizzera, ad esempio, i costi generati dall’aumento dell’inquinamento atmosferico ammontano a diversi miliardi di franchi annui. Gli inquinanti atmosferici hanno ripercussioni dirette sulla salute e sull’ambiente.
Contribuiscono a rendere l’uomo, le piante e interi ecosistemi più vulnerabili nei confronti di altri fattori di stress quali gli agenti patogeni, i parassiti e la siccità. Il pericolo maggiore è rappresentato dai notevoli disturbi generati dalle polveri fini e dall’ozono. Questi causano affezioni alle vie respiratorie e all’apparato cardiocircolatorio, come precisato precedentemente. Le malattie e i decessi prematuri causati dall’inquinamento atmosferico hanno un impatto economico notevole, ma soprattutto umano.
A pagarne le spese nettamente sono però gli ecosistemi. Gli inquinanti provocano l’acidificazione e l’eutrofizzazione degli ecosistemi sensibili. L’ozono ha effetti cronici sulla vegetazione e causa perdite di raccolto. Questi sono alcuni dei motivi per cui tutti dovrebbero interessarsi a tale tema, sempre più gravoso, pericoloso e determinante per quanto permane il Pianeta Terra.
Situazione critica: ma quanto tempo abbiamo?
Se ve lo state chiedendo, purtroppo sì, la nostra è una domanda estremamente retorica; di tempo ne abbiamo sempre meno. o meglio, non ne abbiamo proprio. Il riscaldamento globale ci dice che raggliungere gli +1,5 gradi di temperatura è pressoché inevitabile, contromisure o meno. A stabilirlo è stato il recente rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). Ad approdondire la tesi ci ha pensato un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Weather, che calcola che la data più importante dell’umanità – in tal senso almeno – è il 2035. Proiezioni climatiche che non fanno altro che suggerire che anche se riuscissimo a raggiungere zero emissioni nette entro i prossimi 30 anni, rimarremmo comunque bloccati con almeno quel livello di riscaldamento fino a circa il 2070. Non rassicurante, vero? E non è finita qua.
Alcuni calcoli, sempre presenti su Weather, basati sui dati del rapporto dell’IIPCC, certificano che il presente e futuro riscaldamento globale, con il periodo dal 1850 al 1900 che fa da riferimento, è in fase avanzata. A partire dal 2010, quando la temperatura mondiale annua era di meno di 1 °C sopra la linea di base, le proiezioni suggeriscono che il mondo potrebbe presentare tale scenario: tra 1,4 e 4,4°C più caldo entro il 2090. Dipenderà molto comunque dallo scenario di emissioni che l’uomo sarà in grado di seguire. Se le emissioni rimarranno ai livelli attuali – e ai livelli attuali sono paurosamente alte – è probabile toccare un +2°C sopra i livelli preindustriali entro la metà del ventunesimo secolo. Tutto, quindi, dipende da ciò che gli uomini e le donne di oggi e domani riusciranno a fare. Raggiungendo le zero emissioni entro il 2070, potremmo riuscire a rimanere al di sotto della tanto temuta soglia.
Fatto sta che comunque il riscaldamento globale si sta già facendo sentire tramite eventi meteo estremi. Gli esperti sottolineano che la consapevolezza di andare incontro ad eventi simili in maniera più frequente ed estrema, costringe l’essere umano a muoversi verso l’adozione di misure più urgenti e concrete possibili. Il rischio che preoccupa maggiormente è che le persone più povere si ritrovino ad affrontare condizioni di vita estreme, che potrebbero portare alla morte di milioni di innocenti che vivono in Paesi meno sviluppati. Eventualità fin troppo reale e che va evitata in tutti i modi: non è solo il cambiamento climatico e l’inquinamento il punto. Il punto è salvare più vite possibili, e farlo adesso.
Principali fonti di inquinamento: le auto non sono il problema più grande
Tramite la transizione elettrica del 2035, che coinvolgerà moltissimi Paesi del mondo, l’automobilismo a modo suo sta cercando di ridurre drasticamente le emissioni nocive di CO2. Ma le vetture tradizionali, benzina e diesel specialmente, non sono le uniche motivazioni che portano alla situazione attuale. Pensiamo ai fumi industriali, alle centrali di produzione dell’energia, ai riscaldamenti domestici o al traffico. Ne esiste anche un’altra, forse la più insospettabile di tutte, che emette quantità di metano a dir poco rilevanti: le mucche. Il maggiore inquinamento avviene nelle nazioni più industrializzate, e quindi nei Paesi più ricchi in assoluto. Luoghi dove ogni casa è riscaldata, in cui il traffico è intenso e le industrie producono a ritmo serrato. Abbiamo ormai quasi raggiunto i parametri limite fissati dagli accordi di Parigi, con il cambiamento definitivo ed irreversibile del clima tristemente vicino.
Sono quindi tante le situazioni da monitorare per rendere migliore una situazione ai limiti del drammatico; fra le tante, come avevamo precedentemente anticipato, ci sono anche le mucche. O meglio, le loro flatulenze. Già, perché queste ultime sono la principale fonte di produzione di metano, ovvero il gas che aumenta drasticamente l’effetto serra e contribuisce a surriscaldare la Terra. Ogni mucca ne produce da 300 a 500 litri al giorno. E così, di comune accordo tra FAO e WWF, è stato deciso di promuovere ricerche in tal senso. Studi, questi, che hanno svelato che gli allevamenti di bovini e ovini producono il 18% dei gas serra; per far capire l’enormità del dato, i trasporti ne producono il 14%. In Nuova Zelanda il problema è stato addirittura oggetto di esame al Governo, che sta valutando la possibilità di una supertassa sulle emissioni di bovini e ovini.
Si tratta comunque di una situazione limite, perché in Nuova Zelanda ci sono dieci milioni di bovini e 26 milioni di pecore: per una popolazione di cinque milioni di persone, è decisamente troppo. Le mucche non producono solo metano, in ogni caso. Le loro urine contribuiscono ad aumentare il livello di inquinamento grazie alla reazione chimica che trasforma l’azoto contenuto nella pipì di mucca in ammoniaca e liberando così protossido di azoto nell’atmosfera. Un gas che potenzialmente può realizzare un livello di riscaldamento climatico pari a 310 volte l’impatto dell’anidride carbonica. Negli Stati Uniti, le emissioni di mucca e l’inquinamento del settore bovino sono la causa del 2,2% dell’inquinamento totale nazionale. Il rischio non è solo ambientale in tal senso, dato che è esplosa una stalla in Germania. Le mucche chiuse all’interno avevano prodotto talmente tanto gas da provocare una esplosione vera e propria.
Metano e non solo: l’inquinamento dilaga
Il metano, almeno in grandi quantità, proviene anche dai rifiuti e dalle plastiche. Come svelato da una ricerca sul fattore spreco degli oggetti di plastica monouso, ben visibili tanto sulle coste quanto negli oceani, si stima che entro il 2050 il peso delle plastiche presenti nei mari sarà superiore a quello dei pesci. Ogni anno si valuta infatti che finiscano nelle acque marine dai 4,8 ai 12,7 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Nei mari sono finiti già complessivamente almeno 86 milioni di tonnellate di plastica. Una buona parte, peraltro, finisce depositata sui fondali. Nelle acque e negli oceani si trovano anche le microplastiche; queste derivano dall’abrasione degli pneumatici, dal lavaggio di tessuti sintetici o dalla disintegrazione di rifiuti plastici.
Alle particelle di materiale plastico si sommano poi prodotti cosmetici, bagnoschiuma e shampoo, che raggiungono il mare portate dai fiumi. In acqua affondano anche reti abbandonate, o gettate volutamente in mare dai pescatori, in quantità preoccupanti. Sono stati stimati oltre 10mila pezzi di rete che ogni anno vengono gettati, e questo soltanto nel Mar Baltico. Sacchetti di plastica, palloni, scarpe, materiali di imballaggio prima o poi finiscono in mare. In questo modo diventano una minaccia per pesci e uccelli marini che potrebbero ingoiarli. Anche in questo caso, però, la plastica è utilizzatissima tanto in India quanto in Europa e soprattutto USA. Difficile quindi eliminarla dal giorno alla notte.
Non possiamo e tantomeno dobbiamo poi dimenticare l’inquinamento generato dal riscaldamento per abitazioni, che è pari approssimativamente al 64,2% del totale di emissioni nelle città contro il 10,2% che proviene dal settore della mobilità e dei trasporti motirizzati. In Italia, ad esempio, gli impianti di riscaldamento sono responsabili del 64% delle polveri sottili e del 53% delle Pm10 nell’aria. L’inquinamento atmosferico nel nostro Paese è davvero a livelli critici, anche se nel mondo l’inquinamento ambientale deriva soprattutto dalle attività industriali. Per quanto riguarda le automobili e più in generale i veicoli a motore, in tal senso non sono il problema maggiore. Cè molto di peggio, dalle flatulenze delle mucche alla plastica e così via. Anche se, di certo, le marmitte non fanno particolarmente bene al Pianeta Terra.