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Ora sono solo supercar e SUV maestosi, ma sapete cosa produceva prima Lamborghini ? Erano dei veri bestioni

Come formiche laboriose, migliaia di trattori arancioni solcavano i campi italiani del dopoguerra. E portavano lo stesso marchio che oggi fa sognare gli appassionati di auto di lusso.

Chi non ha mai sognato davanti a una Lamborghini? Quelle linee aggressive, quel rombo inconfondibile, quel toro che carica sul cofano. Eppure c’è stato un tempo in cui il marchio di Sant’Agata Bolognese era sinonimo di ben altro, un tipo di veicolo che non è facile da immaginare.

Lamborghini oggi (Lamborghini) allaguida.it

Una storia che sa di terra e sudore, di ingegno e coraggio. Di passione, di alta conoscenza meccanica, e di sogni di grandezza. È la storia di Ferruccio, figlio di contadini emiliani, che nel dopoguerra trasformò rottami militari in oro. O meglio, in trattori. E da lì nacque una nuova storia.

Dal fango dei campi alle stelle

Nel ’46 l’Italia era in ginocchio. Mentre tutti cercavano di ricostruire, Ferruccio Lamborghini guardava i residuati bellici con occhi diversi. In quei motori arrugginiti vedeva il futuro. Con tre meccanici e tanta determinazione, iniziò a trasformare vecchi camion militari in trattori. Il primo fu il Carioca, un gioiello di ingegneria pratica: partiva a benzina ma poi funzionava a petrolio, molto più economico. Una manna per gli agricoltori dell’epoca.

Lamborghinetta, 1959 (Wikimedia Commons) allaguida.it

Il successo arrivò come un tornado. Da 50 trattori il primo anno a 250 il secondo. Gli agricoltori facevano la fila. Il marchio con le lettere FLC – Ferruccio Lamborghini Cento – divenne presto familiare nei campi italiani. Gli anni ’50 furono un turbine di innovazioni: l’L33, primo trattore prodotto in serie, i potenti DL30 e DL40 con motori diesel, fino alla piccola ma instancabile Lamborghinetta.

Ferruccio aveva un metodo infallibile: studiava la concorrenza, rubava i migliori tecnici a suon di aumenti di stipendio e poi migliorava tutto. Come un alchimista della meccanica, trasformava ogni modello in qualcosa di più efficiente. All’inizio degli anni ’60 l’azienda era una macchina perfetta: 400 operai sfornavano 30 trattori al giorno.

Poi arrivò la Bolivia, come un miraggio nel deserto. Una commessa da 5000 trattori sembrava il colpo del secolo. Lamborghini si indebitò per produrli tutti. Ma un colpo di stato spazzò via ogni sogno, lasciando l’azienda con montagne di trattori invenduti e debiti astronomici. Nel ’73 non ci fu scelta: il ramo trattori passò alla SAME.

In meno di vent’anni Ferruccio aveva creato 51 modelli diversi, veri e propri cavalli da tiro che hanno modernizzato l’agricoltura italiana. Quando se ne andò, nel ’93, vollero che un suo trattore trainasse il feretro fino a Renazzo. Come un ultimo viaggio nei campi che lo avevano visto nascere, crescere e diventare leggenda. Una leggenda che prima di far correre tori rampanti sull’asfalto, li aveva fatti arare la terra.

Antonio Pinter

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Antonio Pinter