Il due volte campione del mondo di Moto Gp si è ritirato nel 2012 e ha svelato il perché soffriva così tanto quando scendeva in pista
Nello sport sono sempre di più gli esempi di coloro che non vogliono dire basta, allungando la propria carriera allo sfinimento, continuando a scendere in campo (o in pista) quando le condizioni fisiche non sono più quelle di un tempo. E, in molti casi, c’è anche molta amarezza nel vedere grandi campioni che, pur di non fare i conti con la realtà, preferiscono proseguire nella propria passione offrendo prestazioni che non fanno onore al proprio passato.
Ci sono però rari casi dove le carriere vengono stoppate quando si è al massimo. L’ultimo è quello, nel calcio, di Toni Kross che ha deciso di appendere le scarpe al chiodo pur essendo ancora un giocatore di livello mondiale. Ma anche in altri sport questo è accaduto nel passato, come ad esempio Casey Stoner.
Stoner, parole shock: “Desideravo morire”
Il motociclista australiano, classe 1985, ha detto addio alle corse nel lontano 2012 a soli 28 anni, pur essendo ancora uno dei migliori piloti al mondo. Si è laureato due volte campione di Moto Gp nel 2007 con la Ducati e nel 2011 con la Honda, ma solamente un anno dopo ha deciso di dire basta. Non perché non si sentiva abbastanza competitivo, ma perché aveva rivali decisamente più duri da sconfiggere dei fenomeni Valentino Rossi o Jorge Lorenzo: l’affaticamento cronico e l’ansia.
L’australiano si è raccontato in un’intervista al podcast Gypsy Tales dove ha affrontato i suoi incubi. “C’erano giorni in cui ero malato come un cane, mentre altri weekend più andavo forte in pista, più volevo morire“, ha esordito. Quei dolori e quella stanchezza lancinante erano dovuti all’ansia, scoperta solo successivamente: “Onestamente pensavo fosse solo qualcosa che la gente dicesse per dire, un altro modo per essere stressati. Tutti si stressano.” Stoner ha ammesso che sarebbe stato più facile per lui se fosse stato a conoscenza di questa problematica durante la carriera, così che potesse trovare un modo per gestirla.
Purtroppo, però, è complesso rendersene conto. “Quando l’ansia arriva mi si bloccano la schiena tra le scapole – ha sottolineato – È stato un brutto colpo essere chiuso con le persone e i media, perché non sono mai stato tranquillo di fronte a loro. Le folle non mi hanno mai messo a mio agio”.
La situazione è diventata insostenibile negli ultimi due anni di corse, nonostante nel 2011 si laureò campione del mondo: “Mi sdraiavo sul pavimento del mio motorhome, raggomitolato, con i nodi allo stomaco. Non volevo correre. Avvertivo la pressione della squadra, di tutti quelli che mi avevano aiutato. Avevo un team di 70 persone lì, e soprattutto quando sei il pilota numero uno e tutti si aspettano che tu vinca ogni fine settimana, questo ha influito tantissimo su di me”.