[galleria id=”20311″]
E’ tra i simboli del concetto di originalità e personalizzazione applicati al mondo automobilistico, eppure, la storia che ha dato vita a Citroen 2CV muove da tutt’altre premesse. Restava un’incompiuta che ha avuto degna soddisfazione. L’idea di Serge Gevin, di una 2CV bianca e gialla, i colori dell’estate e la leggerezza di una personalizzazione che non vide mai la luce. A quell’immagine Citroen Italia ha dato compimento, affiancata dallo stesso Gevin, già padre di numerosissime 2CV personalizzate, lui titolare dell’agenzia che curava gli allestimenti del marchio – oggi diremmo gli stand – del Double Chevron. Nel 1976 la Spot fu la prima rilettura della Deuche, poi seguita dalla Charleston a inizio anni Ottanta e tante altre.
Il bianco e arancio della Spot si trasforma in una carrozzeria prevalentemente bianca sulla Soleil, con i parafanghi anteriori e posteriori, la capote e il bagagliaio. Fari tondi, calotte bianche.
A fare il resto, in un insieme già di per sé giocoso ed estivo – e un richiamo a cielo, mare, sole e gioia di vivere doveva essere Soleil – lo sticker di un salvagente applicato in coda, quello di una pipa e cappello marinaio sulle portiere. A fare da “base” per la realizzazione della Soleil, una 2CV Club del 1982.
Un esemplare in più da aggiungere al pallottoliere, fermo oltre i 5 milioni di esemplari il 27 luglio del 1990, data simbolo perché rappresenterà l’uscita di scena, dopo 42 anni, di un progetto nato dalla mente di Pierre Jules Boulanger, capo Citroen negli anni Trenta e che avrebbe dovuto rispondere alle esigenze di mobilità di base dei contadini. L’idea, durante un passaggio nella regione agricola dell’Auvergne, in Francia, dove l’automobile era perfetta sconosciuta. Molto meglio cavalli, asini e buoi, allora.
Spartana, economica, pratica, “quattro ruote con un ombrello sopra la testa”, la volle così Boulanger. Spazio per due contadini, 50 kg di patate, un paniere di uova e il “miracolo” di non romperne nemmeno uno passando su un campo arato.
[galleria id=”16671″]
La mission venne interpretata dal progettista Andrè Lefebvre, ma la TPV (acronimo di Tres Petite Voiture, macchina molto piccola), prototipo del quale se ne realizzarono 250 esemplari, 3 appena quelli sopravvissuti – dopo l’ordine di distruggerne gran parte a ridosso dell’invasione tedesca nella seconda guerra mondiale -, aveva bisogno di un tocco gentile, quello che seppe garantire Flaminio Bertoni nel 1945, chiamato da Boulanger a migliorare il look della TPV.
Di versioni alternative per motore e configurazione se ne contano una miriade, la 2CV arrivò a liste d’attesa di 30 mesi, tale fu il successo sul mercato. E superò anche le richieste di Boulanger, vista l’abitabilità per quattro persone a bordo.
La produzione iniziò nel 1948, quella industriale un anno dopo. Il motore passò dai 345 centimetri cubici del debutto ai 602 cc della serie AZ-KA, prodotta tra il febbraio del 1960 e il luglio del 1990. Con 1 milione e 458 mila esemplari non sarà la 2CV più popolare, perché la palma di produzione di maggior volume va alla versione AZ, con motore 425 cc, costruita tra il 1954 e il 1970: 1 milione 732 mila e 798 esemplari uscirono dalla fabbrica.
La 2CV è il tassello mancante e si affianca ai 3 milioni e 872 mila esemplari con carrozzeria berlina, mentre furono 1 milione e 246 mila le 2CV prodotte per usi commerciali e loro derivazioni.
[npleggi id=”65069″ testo=”Citroen 2CV, la storia di una “parapioggia” su quattro ruote”]
Non solo ebbe vita propria longeva e di successo, ma servì a creare una miriade di altri modelli. Dalla Furgonette AZU alla AK, fino alla Acadiane, proseguendo con i modelli “civili” Dyane, Mehari, AMI6 e AMI8, AMI Super, senza dimenticare il telaio prestato alla M35 e il motore alla Citroen LN.